Notizie Radicali
  il giornale telematico di Radicali Italiani
  lunedì 04 aprile 2005
 Direttore: Gualtiero Vecellio
Il corpo, la vita eterna e il relativismo (*)

di Angiolo Bandinelli

Da qualche tempo mi tocca fare uso, abbastanza spesso, di una fermata di autobus che non è quella sotto casa, quella che tutti conosciamo da sempre e cui siamo perfino affezionati. Si trova davanti all’ospedale di cui sono, spero ancora per poco, frequentatore e utente, e dunque non posso esserle affezionato; però è su un larghissimo viale di periferia senza palazzi e palazzoni e l’attesa, spesso lunga, mi è rallegrata dalla vista di un cielo romano sgombro e vasto come una cupola. A pochi metri di distanza dalla palina con il cartello indicatore degli autobus ce n’è un’altra, su cui è affisso un cartellone pubblicitario che sfoggia la scritta: “Opera cattolica per la cremazione”. Pronto uso: seguono indirizzo e numero telefonico. Messo lì, all’ingresso dell’ospedale, il cartellone non è certo benaugurante, immagino siano molti, pazienti o parenti di pazienti che, passandovi sotto, fanno gli scongiuri. Comechessia, la scritta mi ha stupito. Ero rimasto ai tempi quando la Chiesa vietava quel rito funebre (oggi, ogni tanto, assisto a cerimonie funebri con cremazione e nella sala non c’è il crocefisso, ma forse qui il rifiuto è al contrario, chi si fa cremare vuole prendere per l’ultima volta le distanze da Chiesa e religione). I cristiani, e segnatamente i cattolici, portano un sacro rispetto al corpo, ritengono che vada conservato al possibile in quanto anche esso dovrà risorgere, alla fine dei tempi, proprio come viene rappresentato nel Giudizio Universale del duomo di Orvieto. In quella insigne opera del Signorelli si vedono corpi bluastri o verdastri di uomini e donne riemergere faticosamente dal suolo, per avviarsi nella gloria del Signore. La Chiesa primitiva si distaccò dai riti funebri pagani, presso i quali la cremazione era prassi corrente. Le catacombe romane non erano rifugio dei cristiani per sfuggire alle persecuzioni, ma cimiteri nei quali i corpi dei defunti venivano deposti dentro tombe scavate nel tufo, avvolti in sudari candidi, in attesa di partecipare alla “parusia”, al ritorno di Cristo, ritenuto imminente. Invece, quando ero ragazzo, nelle mie spedizioni lungo la allora solitaria via Appia più volte mi capitò di infilarmi in “colombari” ancora praticamente intatti, con alle pareti le nicchie fitte come alveari e le urne di terracotta ancora piene di ceneri e di minuti frammenti ossei del defunto: ne esplorai parecchi, oggi non ci sono più. Non ricordo peraltro il momento in cui la Chiesa ha tolto il millenario divieto alla cremazione, consentendo ad una “Opera cattolica” di occuparsi in prima persona del rito.

Avevo un amico la cui madre, svizzera, era un’atea di forti convinzioni. La conobbi, mi era molto cara. Quando morì, i figli, certamente seguendo le sue volontà, la fecero cremare. Occorreva poi deporre le ceneri. Penso che la gentile signora avesse dato disposizioni, o almeno espresso il desiderio, che tornassero nella sua terra nativa. Così un giorno uno dei ragazzi partì da Roma custodendo in una cassettina i preziosi resti. Varcò la frontiera, arrivò nella città designata e, di notte, sparse quelle ceneri sui prati, tra gli alberi e i fiori del parco. Credo che commettesse un reato, ma il suo era un gesto pieno di affetto e di malinconia. Anche di pietas, ma temo che l’espressione ci fosse, allora, inconsueta, pensieri così forti ti arrivano quando sei avanti negli anni. Nei primi tempi del partito radicale, affittavamo qualche stanza delle nostre troppo vaste sedi, così da aiutarci a pagare canoni per noi quasi impossibili, visto che uscivano totalmente dalle nostre magre tasche. Tra gli affittuari, avemmo per qualche tempo una Associazione “Giordano Bruno”, residuale pattuglia delle gloriose società anticlericali - laiciste - fiorite in Italia ai tempi del positivismo massonico. I soci della benemerita associazione erano tutti anziani, vecchietti intrepidi nelle loro convinzioni. Non potevano più condurre grandi, clamorose campagne, toccò a noi rinfrescare l’usanza di deporre una corona al monumento dell’eretico in campo dei Fiori, abbandonato e deturpato com’era in quei tempi democristiani. Su una battaglia insistevano con forza, cioè la conquista della libertà per il rito della cremazione. Ma i tempi sono cambiati, quelli della Giordano Bruno non ci sono più, la Chiesa ha sollevato il divieto e così li ha resi inutili. Ecco un bell’esempio del relativismo storico, figlio di una evoluzione che fa capovolgere o entrare in desuetudine valori circondati da un’aura di sacralità inattaccabile.

A proposito di relativismo. Richiamandomi alla mia colonnina del quattro febbraio scorso, nella quale ironizzavo sulla volontà di governi e laicisti impenitenti di mettere al bando non solo il burqa, ma anche chador e hijab, vorrei ricordare che, ancora pochi decenni fa, di una ragazza che si faceva suora si diceva: “Ha preso il velo”.

(*) da “Il Foglio”